Cervo
Si chiama “Zombie deer disease”, malattia del cervo zombie, per sintetizzare le conseguenze che può provocare sui poveri animali che ne sono colpiti. L’allarme viene da Stati Uniti e Canada, dove sta decimando centinaia di esemplari. Si tratta di una patologia neurologica che minaccia i cervi e che, in teoria, potrebbe colpire anche l’uomo. Alla base della malattia ci sono i prioni, proteine anomale che danneggiano quelle sane. La malattia, che ha effetti mortali negli esemplari contagiati, è finita sotto i riflettori dei Centers for Disease Control and Prevention negli Stati Uniti.
La causa della malattia
La malattia neurodegenerativa è stata individuata anche in Scandinavia e in Corea del Nord. Gli scienziati si interrogano sui rischi per l’uomo. Il salto di specie ad oggi non si è verificato. “Non c’è stata trasmissione da un cervo o da un alce all’uomo”, dice Jennifer Mullinax, professore associato di ecologia e gestione della fauna all’università del Maryland, come riferisce la Bbc. “In ogni caso, vista la natura dei prioni, i Cdc e altre agenzie hanno sostenuto tutti gli sforzi necessari per tenere i prioni fuori dalla catena alimentare”, evidenzia l’esperta.
I sintomi
Le proteine anomale danneggiano cellule cerebrali e provocano disfunzioni nei vari organi dell’esemplare contagiato. L’animale che contrae la malattia presenta perdita di peso, manifesta sete anomala e conseguente necessità di urinare con frequenza, mancanza di equilibrio e di coordinazione nei movimento, difficoltà nella deglutizione, produzione di bava. Alla malattia si associano anche problemi di infiammazione ai polmoni. I sintomi possono manifestarsi dopo molti mesi, o addirittura anni: questo elemento rende complicata la diagnosi iniziale e, parallelamente, favorisce la diffusione della patologia attraverso lo scambio di fluidi corporei o anche attraverso la contaminazione di acqua e cibo.
I rischi per l’uomo
Gli elementi acquisiti sinora dagli scienziati escludono il contagio dall’animale all’uomo, non ci sono prove di trasmissione anche in presenza di consumo di carne proveniente da un animale malato. I ricercatori però, continuano ad analizzare il quadro. Le conoscenze acquisite sinora inducono a ritenere che ogni specie reagisce e si difende in maniera diversa da un’infezione indotta dai prioni. Nel 2018, test sui macachi – quindi su una specie relativamente vicina a quella umana – ha evidenziato che gli esemplari esposti al contagio di cervi e alci malati non sono stati colpiti dalla malattia. Uno studio sperimentale eseguito nel 2022 in Canada però, ha fornito risultati meno confortanti quando alla malattia sono stati esposti topi con apparato genetico modificato per valutare l’impatto di patologie sull’uomo.
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