La metà più povera degli italiani vive con meno di 13 mila euro all’anno e detiene meno del 17% del reddito nazionale. Mentre l’1% più ricco controlla circa il 12% del reddito nazionale, con un reddito medio di 310 mila euro all’anno. Ma, in proporzione, paga meno tasse del restante 99% dei contribuenti. Per chi supera i 500 mila euro l’anno l’aliquota «vera» scende al 36%. A fotografare la situazione è uno studio congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano – Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association.
Dallo studio emerge che la progressività del sistema fiscale italiano è poca e mal distribuita. «Abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50% – spiega Andrea Roventini, autore dello studio e direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna – .Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un’aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500 mila euro annui. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito».
Perché i ricchi pagano meno tasse
Il fatto che i redditi più elevati paghino un’aliquota più bassa è dovuto principalmente a tre fattori: l’effettiva regressività dell’Iva, che grava meno sui contribuenti abbienti, il minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro, la maggiore rilevanza, per i più ricchi, delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari tassate con aliquote proporzionali variabili tra il 10 per cento e il 26 per cento. Lo studio conferma che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: i lavoratori dipendenti sono quelli che pagano più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari. «Questo lavoro – spiega Demetrio Guzzardi, autore dello studio e ricercatore in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – combina diverse fonti di dati, quali dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia, stime sulla distribuzione del patrimonio netto, per distribuire a livello individuale l’intero ‘reddito nazionale netto’, corretto per l’evasione fiscale. Così è stato possibile identificare le fasce di reddito che hanno perso di più negli ultimi anni».
Le disuguaglianze sono aumentate
Dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale diminuiva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la perdita maggiore con un calo del 30% circa. All’interno del 50% più povero, i più colpiti sono giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. I 50 mila italiani che compongono lo 0,1% più ricco del Paese, invece, detengono il 4,5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% più povero soltanto risparmiando l’intero reddito per 76 anni «Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente», sottolinea.
I poveri diventano sempre più poveri
Lo studio mette a confronto anche la concentrazione dei redditi dell’Italia con quella di altri Paesi. Paragonando le stime ottenute da ricerche analoghe condotte per Stati Uniti e Francia, dalla ricerca emerge che l’Italia presenta un livello di concentrazione dei redditi simile a quello della Francia. Tuttavia «a differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito – sottolinea Alessandro Santoro, autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano-Bicocca- in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate».
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