La cultura del patriarcato e la Chiesa: da chi giustifica le violenze alla giustizia che fatica a proteggere le donne dagli abusi

la cultura del patriarcato e la chiesa: da chi giustifica le violenze alla giustizia che fatica a proteggere le donne dagli abusi

La cultura del patriarcato e la Chiesa: da chi giustifica le violenze alla giustizia che fatica a proteggere le donne dagli abusi

La denuncia sugli effetti negativi della società patriarcale fatta dalla sorella di Giulia Cecchettin ha portato sotto i riflettori quella cultura secolare che giustifica le discriminazioni tra uomini e donne. Una eredità che inevitabilmente tira in ballo anche la Chiesa, accusata da tempo, da religiosi e religiose in varie parti del mondo, ad aver diffuso un modello sbilanciato con ruoli fissi e non certo paritetici tra maschi e femmine, esaltando inoltre nella donna soprattutto la subordinazione e il maternage. Papa Francesco naturalmente ha condannato reiteratamente il machismo, così come le violenze domestiche, finora con pochi risultati significativi soprattutto per la formazione interna necessaria a cancellare il maschilismo strisciante nella Chiesa. Le denunce piovute in questi ultimi anni da parte di teologhe, intellettuali, accademiche e associazioni femminili internazionali non si contano.

Il Messico non è un paese per donne, record di femminicidi

Ad oggi la Santa Sede non ha ancora voluto siglare, per esempio, la Convenzione di Istanbul adottata dal Consiglio d’Europa contro la violenza domestica, vale a dire l’unico strumento internazionale vincolante per la prevenzione e la lotta alle violenze di genere che esiste. La motivazione che ha sempre portato il Vaticano a scartare questa opzione è che per prassi non vengono mai siglati trattati internazionali continentali, dimenticando però che uno strappo alla regola è stato fatto nel 2001 quando il Papa di allora – Giovanni Paolo II – diede il benestare per firmare il Trattato della moneta unica al quale anche lo Stato della Città del Vaticano aderisce.

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Per avere una idea della cultura maschilista insita nelle pieghe della Chiesa basta scorrere le cronache. Ci sono stati casi abnormi. Come per esempio in Messico, tre anni fa, quando l’anziano cardinale Juan Sandoval Iniguez, proprio mentre il paese era attraversato da manifestazioni per l’ennesimo femminicidio (il Messico è uno dei Paesi in testa alla classifica mondiale con un tragico record) spiegò che il fenomeno era dovuto al fatto che «le violenze le donne se le vanno a cercare». A suo dire spetta loro valutare se esiste o meno pericolo e in base a questo a non esporsi troppo, magari non indossando abiti aderenti e non accettare passaggi in auto o non dare confidenza. Insomma, la colpa è soprattutto femminile.

Alla sua esternazione si è aggiunta quella abnorme del fondatore dei Neocatecumenali, Kiko Arguello, tra l’altro colto, pittore affermato e compositore. Un po’ di tempo fa, ad un raduno pubblico a San Giovanni, parlando della famiglia, ha di fatto giustificato i femminicidi. «Cosa succede infatti se la donna decide di lasciare il proprio uomo? Per un’altra donna, poi? Ecco, in questo caso l’omicidio è inevitabile: Se la moglie lo abbandona e se ne va con un’altra donna quest’uomo può fare una scoperta inimmaginabile, perché questa moglie gli toglie il fatto di essere amato, e quando si sperimenta il fatto di non essere amato allora è l’inferno. Quest’uomo sente una morte dentro, così profonda che il primo moto è quella di ucciderla».

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VITTIME

Papa Francesco per dare voce alla disperazione che i femminicidi lasciano dietro di sé due mesi fa si è recato nella zona periferica di Roma dove sono avvenuti due terrificanti fatti di cronaca, tra cui quello della diciassettenne Michelle Causo. Tuttavia, nonostante la sua attenzione al fenomeno, all’origine di una donna uccisa su due in Italia dall’inizio dell’anno, il Papa non ha ancora voluto risolvere il misterioso caso Rupnik: l’ex gesuita che avrebbe abusato di decine di donne riuscendo sempre a farla franca grazie alle sue amicizie altolocate in curia. Ad oggi a Santa Marta non sono mai state nemmeno ricevute o ascoltate le religiose che hanno subito gli abusi dell’ex gesuita. Nel maggio di tre anni fa (2020) il Papa ha revocato all’allora gesuita la scomunica comminata dal Dicastero per la Dottrina della Fede per aver assolto in confessione una vittima (per il Diritto Canonico si tratta di un delitto tra i più gravi in assoluto). Due settimane fa, il Papa, dopo aver cancellato la prescrizione di delitti sessuali prima rifiutati come materia di un processo, ha ordinato di aprire uno nuovo, specifico per indagare su questi reati.

 

La questione della cultura patriarcale resta dunque ancora aperta. Quattro anni fa ha fatto venire i brividi il risultato di un sondaggio effettuato tra le religiose dell’America latina. Solo grazie alla formula del sondaggio anonimo fu possibile fare affiorare l’ampiezza del tema degli abusi (soprattutto abusi di potere) subiti dalle suore. Che nella Chiesa la misoginia sia diffusa a ogni livello è cosa nota, tuttavia l’indagine effettuata da Clar, la conferenza latinoamericana dei religiosi e delle religiose, ha fotografato bene le dinamiche di questo fenomeno tenuto sempre in un angolo e mai affrontato compiutamente.

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RISULTATI

Il 55,2% delle religiose in America Latina e nei Caraibi ha subito abusi di potere nell’ambito della loro congregazione, comunità o in un ambiente ecclesiale. Gli abusi di potere sono esercitati dai superiori nel 51,9% dei casi, al secondo posto da sacerdoti con il 34,2%, seguiti da formatori con il 23,1% e infine ci sono i vescovi con il 10%.

Al sondaggio anonimo hanno risposto 1.417 suore, provenienti da 23 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. I risultati sono pubblicati nel libro intitolato “Vulnerabilità, abusi e cure nella vita religiosa delle donne”.Per quanto riguarda le molestie sessuali, il 14,3% delle suore afferma di essere state molestata da un sacerdote, il 9,7% da laici e l’8% da altre religiose. In relazione a veri e propri abusi sessuali, il 19,8% delle suore afferma di essere state vittime di questo comportamento. 112 affermano che ciò ha influito sulla loro vita religiosa, 105 ritengono di no, e solo 9 di loro hanno ricevuto sostegno terapeutico all’interno della loro comunità per affrontarlo.

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