Si fa presto a dire Sinner. Anzi, si fa prestissimo a dire che ne stanno parlando tutti, ma proprio tutti!, in questa Italia qua, un po’ scombiccherata, talvolta angosciata, di sicuro rallegrata dal “buongiorno” dipinto d’azzurro che il campione della racchetta ha spedito dalla remota Melbourne.
Si fa presto a dire Sinner e qui solennemente prometto che non scriverò di tennis, di smorzate, di dritti e di rovesci. Nossignore: a fare la cronaca, immaginando di tradurla a breve in Storia dello Sport, è qualcos’altro. Qualcosa che tocca le corde della memoria e le fa risuonare, sommando in un attimo la generazione dei nonni e genitori alla generazione dei nipoti e dei figli.
Gustav Thoeni, oggi 72enne, in una discesa. A destra, Sinner in finale con Djokovic
Lo scrivo? Lo scrivo: Jannik sta all’Italia del 2024 come Gustavo Thoeni stava all’Italia del 1974. È passato mezzo secolo e ci siamo raccontati momenti di gloria e istanti di boria, imprese da leggenda e disastri epocali. Siamo un Paese perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, in politica le abbiamo provate tutte e altre magari ne sperimenteremo, eppure alla fine della fiera abbiamo il diritto ma anche il desiderio di riconoscerci in figure vagamente lontane dallo stereotipo dell’italiano farfallone, spaghettaro, musica a palla e vai di luoghi comuni.
Bene, oggi e allora no, oggi Sinner e allora Thoeni, concittadini dell’Alto Adige, compatrioti baciati dal talento, ecco, Jannik e Gustavo ci insegnano che appunto non di solo talento vive l’uomo. E per fortuna, vien voglia di aggiungere.
Cinquanta anni fa, il silenzioso Thoeni fece innamorare l’Italia democristiana e comunista delle Settimane Bianche. Scendeva, l’asso di Trafoi, nella assenza di suono delle montagne infinite e ti inchiodava lì, davanti a televisori ancora senza colori. Gustavo era un pioniere e un profeta, senza menar vanto creò con l’esempio suo la mitica ’Valanga Azzurra’ e rese popolare il turismo invernale, fino ad allora privilegio degli Agnelli e dei Pirelli. Sinner appartiene al nostro presente, un presente distinto e distante. Non ci sono più i comunisti e i democristiani, siamo solo noi come cantava Vasco, o meglio siamo soli noi, persi nella Babele cacofonica dei social, prigionieri di influencer e di odiatori. Ma poi, di nuovo è sempre per fortuna, ancora dall’Alto Adige ti sbuca un modello di serietà professionale.
Onestamente Jannik è più loquace di Gustavo, ma solo perché sono cambiati i tempi, gli stilemi, le necessità del vivere comune. Guadagna una barca di soldi, ma se lo guardi giocare non pensi al conto in banca o a dove paga le tasse. Pensi che ha lo stesso imprinting di Thoeni, la serietà è identica e dunque non sorprende che sia scoppiata la mania.
Altri spiegheranno, giustamente, le ragioni della rinascita del tennis nostrano, che non era morto ma fermo da decenni ai ricordi del ciuffo di Panatta e del braccio d’oro di Bertolucci. Però indubbiamente Sinner, come Thoeni quando in tv c’era Carosello, ha restituito enorme popolarità allo sport dell’eleganza che fu. Con i compagni ha riportato a casa la Coppa Davis e sta per giocare la finale degli Open d’Australia. E ci è riuscito, lui che è anche un testimonial negli spot di un sacco di prodotti, andando quasi in controtendenza, perché ormai un sacco di gente invece gioca a padel, che non starò a spiegare cos’è perché sono ignorante in materia.
In fondo Sinner e Thoeni non hanno in comune soltanto le radici altoatesine. Condividono una certa idea sana dell’agonismo, si può perdere o vincere nello sport come nella vita, ma nessuno perderà mai l’anima fin quando darà il meglio di se stesso, tenendo alla larga ogni forma di volgarità, di sciatteria, di maleducazione. È una cosa rara, la capacità di essere straordinari senza snaturarsi.
“Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale” (Lucio Dalla).
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