Omicidio Cecchettin. Filippo Turetta, la prima notte in cella
Dalla nostra inviata
HALLE (GERMANIA) – Il carcere di Halle è un edificio di mattoni rossi, affacciato sul porfido lucido della strada alberata. Il complesso con le finestre a volta e il portone di legno potrebbe ben confondersi con le villette dell’elegante quartiere residenziale, al civico 20 di Am Kirchtor e cioè “al portone della chiesa”, se non fosse per le inferriate anche ai piani più alti. È dietro queste sbarre che Filippo Turetta ha trascorso la sua prima notte di custodia cautelare, e anche la seconda, e tutte quelle che saranno necessarie e decise per l’accusa di omicidio volontario, prima della sua consegna ai carabinieri di Venezia per il rimpatrio: «È molto provato e preoccupato, è stato trovato in grande sofferenza, scosso», riferisce l’avvocato tedesco Dimiter Krasse al difensore italiano Emanuele Compagno, dopo averlo incontrato all’udienza di convalida dell’arresto preventivo, una misura che ha attirato l’attenzione sul penitenziario al punto da farlo diventare la meta di un inaspettato pellegrinaggio in memoria di Giulia Cecchettin.
L’OMAGGIO
Succede all’ora di pranzo, quando tre ragazze imboccano il viale e si fermano sul marciapiedi. Davanti alla facciata dello Justizvollzugsanstalt, come i tedeschi chiamano la “struttura correzionale”, è in corso una registrazione di Rai 1, una delle tante che scandiscono il racconto della giornata. Le giovani attendono la fine delle riprese, dopodiché si chinano attorno a un palo di cemento, trasformandolo in un piccolo altare laico. Provengono l’una dal Veneto, l’altra da Milano, l’altra ancora da Roma: «Noi siamo studentesse Erasmus, siamo qui ad Halle», spiegano mentre depongono a terra, fra i ciottoli e le foglie, un mazzetto di crisantemi bianchi. Le tre donne chiedono di non essere inquadrate: non cercano nessuna visibilità per sé, ma per il loro gesto sì.
IL SENSO
È la veneta a spiegare il senso dell’iniziativa, senza bisogno di citare alcun cognome: «Siamo rimaste sconvolte dalla notizia di Giulia. Aver saputo che è lui arrivato qui, che Filippo è qui vicino, è ancora più sconvolgente. Adesso speriamo solo che ci sia una lotta di tutta l’Italia, che Giulia sia l’ultima e che riusciamo tutti insieme, uomini e donne, bambini e anziani, a contrastare questa cosa, a cambiare il patriarcato. Non ci deve più essere un’altra Giulia uccisa, bisogna sconfiggere questa piaga». Protetto dal cellophane, spicca un biglietto scritto a penna e con cura: «Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima. Per Giulia Cecchettin, 105° vittima del patriarcato in Italia». Sono le parole che chiudono la poesia di Cristina Torres Cáceres, attivista peruviana, le cui frasi sono spesso campeggiate sui cartelloni del movimento femminista “Ni una menos”, nato in Argentina nel 2015 e arrivato in Italia come “Non una di meno”. Versi scritti ancora sei anni fa, ma diventati virali in questi ultimi due giorni, dopo essere stati rilanciati sui social da Elena Cecchettin in memoria della sua amata sorella. Chissà se Filippo ha potuto vedere quel mazzolino candido, guardando il sole a scacchi al di là della muraglia. All’imbrunire sul selciato non c’è più: è stato spostato davanti a un ingresso secondario.
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