Guida al calcolo della pensione: perché restare al lavoro conviene

guida al calcolo della pensione: perché restare al lavoro conviene

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Prima di tutto bisogna arrivare alla giusta carriera contributiva per poter andare in pensione. Poi bisogna arrivare alla giusta età, a meno che non si sfruttano le misure distaccate dai limiti anagrafici come la quota 41 e la pensione anticipata contributiva. Ma quando è il momento di andare in pensione, importante è conoscere anche che tipo di pensione si andrà a prendere, ovvero che cifre verranno erogate al diretto interessato da parte dell’INPS. Perché spesso è più difficile vivere dignitosamente con la pensione, che riuscire a prendere un trattamento. Le pensioni spesso deludono come importo. Ecco perché qualcuno farebbe bene a considerare tutti i pro ed i contro di una pensione anticipata che a prima vista può sembrare la soluzione migliore. “Buongiorno, nel 2024 arriverà nell’orbita di quota 103, perché completerà i miei 41 anni di contributi versati. Ho compiuto da poco 64 anni. Non vi chiedo se potrà andare in pensione nel 2024 perché è certo che ho i requisiti. Vi chiedo se secondo voi conviene andare in pensione o farei bene a rimandare ed aspettare, lavorando o andando in NASPI, i 42 anni e 10 mesi di contributi. Perdo tanto di pensione se smetto di lavorare adesso?” [Sommario]

La guida al calcolo della pensione e perché restare a lavorare a molti conviene

Se c’è una scelta difficile da fare questa è senza dubbio quella della pensione. Sembrerà strano parlare in questi termini delle pensioni, perché c’è chi ha difficoltà a centrare la pensione in anticipo. Invece c’è chi ha maturato o sta maturando i requisiti, e si chiede se lasciare il lavoro in anticipo sia conveniente. Uno di questi è il lettore del quesito sopra riportato. In effetti non sempre la scelta ottimale è quella di anticipare la quiescenza. Perché spesso la pensione che si prende anticipando l’uscita è nettamente inferiore rispetto a quella che si prenderebbe “resistendo” al lavoro per qualche altro tempo. Un tipico esempio riguarda la quota 103. La misura recentemente prorogata dal governo, rischia di essere nettamente penalizzante per chi sceglie di lasciare il lavoro in anticipo. Soprattutto dopo le novità del governo che ha introdotto un calcolo diverso alla misura nel 2024. E se a questo aggiungiamo che oggettivamente ci sono meccanismi che favoriscono l’importo della pensione a chi rimanda l’uscita, ecco che effettivamente anticipare la quiescenza diventa controproducente.

La quota 103 è altamente penalizzante, sicuri che convenga?

Con la quota 103 la pensione che si può prendere non può superare 4 volte il trattamento minimo. Significa che anche se a conti fatti la pensione dovrebbe essere maggiore, gli interessati prenderanno un assegno più basso per tutti gli anni che gli mancano ad arrivare ai 67 anni e alla loro pensione di vecchiaia. Inoltre la pensione è calcolata con il sistema contributivo (nel 2023 non era così), e cioè altamente penalizzata come importi. Si stima un taglio medio del 30% a chi subisce il calcolo contributivo della sua pensione per anticipare di qualche anno l’uscita. Soprattutto per chi in virtù di una carriera contributiva di almeno 18 anni raggiunta già il 31 dicembre 1995, potrebbe aver diritto ad un calcolo retributivo fino al 2012. Pensione penalizzata e a volte insufficiente per vivere dignitosamente. E con la quota 103 non si può nemmeno arrotondare quello che si prende di pensione, lavorando. Perché vige il divieto di cumulare i redditi da pensione con i redditi da lavoro. Anche questo divieto di cumulo vale fino alla fine dell’anticipo, ovvero fino al compimento dei 67 anni di età. Il calcolo contributivo invece rimane per sempre. L’unica attività lavorativa che si può svolgere durante gli anni di anticipo è quella da lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro annui.

La vera pensione anticipata non è poi così distante

Ciò che abbiamo messo in risalto prima non è altro che l’elenco di ciò che devono sopportare i lavoratori nel momento in cui scelgono di lasciare il lavoro con la quota 103. Una serie di penalizzazioni evidenti. A tal punto che molti potrebbero già pensare di non sfruttare la misura. A dar manforte a questa linea di pensiero, anche ciò che si guadagnerebbe a restare al lavoro. Uscire con la quota 103 è possibile arrivati a 41 anni di contributi. Significa che ad un contribuente con questa carriera, mancherebbero 22 mesi per completare i 42 anni e 10 mesi utili alla pensione anticipata ordinaria. Che è una misura senza vincoli di importo, con calcolo misto e non solo contributivo e senza divieti di cumulo con redditi da lavoro. La pensione sarebbe più alta perché scevra dalle penalizzazioni prima citate. Ma sarebbe più alta anche perché restare a lavorare fa maturare ulteriore contribuzione. Una cosa è una pensione calcolata su 41 anni di versamenti, un’altra è una pensione calcolata su 42 anni e 10 mesi di contributi.

Anche il bonus contributivo per chi rinuncia alla quota 103

Ma altrettanto importante è il coefficiente di trasformazione che, come tutti sanno, sale al salire dell’età di pensionamento. In parole povere, chi resta al lavoro per altri 22 mesi, esce dal lavoro con 22 mesi di età in più. Ed una cosa è una pensione calcolata a 62 anni, un’altra è una pensione calcolata a 64 anni circa. Il montante contributivo viene trasformato in pensione dopo la sua rivalutazione al tasso di inflazione, moltiplicandolo per i coefficienti. Che sono tanto migliori quanto più alta è l’età anagrafica di chi va in pensione. I vantaggi a rinunciare alla quota 103 però non finiscono qui. Infatti con la misura è stata confermato anche per il 2024 il bonus contributivo. Significa che presentando domanda all’INPS il lavoratore può scegliere di rinunciare alla quota 103 anche se ha maturato entrambi i requisiti previsti (anagrafici e contributivi), chiedendo lo sgravio del 9,19% di contribuzione mensile a suo carico. In termini pratici il lavoratore può chiedere all’INPS lo sconto del 9,19% dei contributi previdenziali che versa ogni mese (la restante parte del 33% di aliquota contributiva nel FPLD è a carico del datore di lavoro). Significa che con le buste paga dei mesi di permanenza al lavoro, l’interessato percepirebbe uno stipendio con l’aggiunta di questa quota di sgravio. Che diventerebbe del 10,19% per i soggetti che rientrano nella seconda fascia retributiva, come recentemente confermato dalla Cassazione (anche l1% di aliquota aggiuntiva può essere sgravata). Quindi, vantaggi sullo stipendio, vantaggi sul calcolo delle pensioni e meno penalizzazioni per chi anziché cogliere la palla al balzo di quota 103, sceglie di rinunciarvi.

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