Aidan dall’Albania a Milano: «La mia sindrome finalmente ha un nome»

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Aidan dall’Albania a Milano: «La mia sindrome finalmente ha un nome»

Il 29 febbraio ricorre la Giornata mondiale delle malattie rare: una scelta di calendario non certo casuale, essendo “raro” per antonomasia questo ultimo giorno del mese più breve, nell’anno bisestile (negli altri tre anni la Giornata cade il 28). Cresce ogni anno l’impegno delle reti di associazioni per portare il mondo delle malattie rare (6mila con 2 milioni di malati in Italia) fuori dal cono d’ombra nel quale è sempre rimasto, tra ignoranza e indifferenza. La Giornata 2024 è speciale: per un annuncio importante, e una storia che merita di essere conosciuta.

Con la sindrome di Wiskott-Aldrich si può morire anche per un banale raffreddore. Oggi, però, c’è speranza per chi è affetto da questa malattia genetica rara del sistema immunitario. In occasione della Giornata mondiale delle malattie rare di oggi Fondazione Telethon ha infatti annunciato l’impegno a rendere disponibile ai pazienti una terapia genica specifica. E l’Agenzia europea per i medicinali ha selezionato Telethon e il programma di sviluppo di questa terapia per il suo progetto pilota di accelerazione. Una splendida notizia per tutti quei malati che ricevono una diagnosi. Già lo scorso settembre la Fondazione aveva annunciato di essersi assunta la responsabilità di produrre e distribuire la terapia genica per un’altra rara immunodeficienza, l’Ada-Scid, che rischiava di non essere più disponibile.

Questa nuova applicazione ha ridato la vita a Aidan (il nome è di fantasia). I suoi primi anni sono stati segnati da una grande sofferenza. Nato in Albania nel 2003, dai sei mesi ha cominciato a manifestare disturbi legati alla sindrome di Wiskott-Aldrich. Febbri continue, difficoltà respiratorie e infezioni erano all’ordine del giorno. Tanta fatica era compensata da una grande forza di volontà che gli ha consentito di riuscire ad andare a scuola fino a quando ha potuto e a gestire da solo le medicine. La sua è una famiglia di contadini, con pochi mezzi.

Così il fratello maggiore, a 17 anni, si è trasferito a vivere e a lavorare a Torino per dare una mano. Il suo contributo è servito anche per acquistare le numerose medicine del fratello. Aidan era un bambino molto sveglio e consapevole, sapeva bene di essere malato. «La mia infanzia è stata difficile, ma penso comunque che sia stata bella – racconta –. C’erano tante cose che non potevo fare anche per via dell’occhio malato. Ma avevo comunque tanti amici e la mia famiglia sempre vicina».

La sua malattia continuava a rimanere senza nome, ma grazie all’intraprendenza della sorella maggiore si è arrivati alla diagnosi. «Lei osservava con attenzione i sintomi, per esempio i piedi che diventavano neri dopo una caduta, poi cercava su Internet a cosa poteva corrispondere – continua Aidan –. È così che ha trovato il nome di questa malattia, la sindrome di Wiskott-Aldrich, e ne ha subito parlato alla mamma. Penso che i medici albanesi non l’avrebbero mai capito».

Anche grazie all’aiuto di un’associazione umanitaria, la famiglia di Aidan è giunta in Italia: a Novara, a Brescia e poi all’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano. In Italia è arrivata la diagnosi ed è stato subito asportato l’occhio destro, che era completamente cieco. Anche il sinistro era compromesso, ma è stato sottoposto a trapianto di cornea.

All’Istituto San Raffaele era in corso un trattamento sperimentale di terapia genica per la sua malattia. Anche se le spese per la terapia e il soggiorno erano sostenute da Telethon, per poter venire in Italia per il lungo periodo richiesto dal trattamento la famiglia ha dovuto vendere i suoi animali (mucche, maiali, galline) perché nessuno poteva prendersene cura, mentre la sorella è stata accolta in un convento di suore.

«Di quel periodo ricordo che piangevo tanto – dice Aidan –. Avevo dieci anni. Mi avevano spiegato molto bene che cosa avrebbero fatto, ma non so se avessi capito proprio tutto. Ero molto agitato perché non conoscevo l’ambiente e le persone. Però ero anche un po’ felice, perché sapevo che ero venuto in Italia per cambiare il corso della mia vita, per non dover restare sempre malato».

Aidan è stato trattato con successo il 22 aprile 2013. Durante il periodo della terapia la famiglia è stata separata per sei mesi dagli altri figli. Il fratello maggiore è riuscito a comprare ad Aidan un tablet per fare i collegamenti via Skype.

«Adesso sto magnificamente bene, sia rispetto alla malattia sia perché ho superato le difficoltà dell’adolescenza». Oggi Aidan vive a Pisa con la famiglia ma continua a tornare periodicamente a Milano per i controlli: «Ogni volta è una bella sensazione: è come tornare a casa, anche se si tratta di un ospedale. Ho la possibilità di incontrare le persone che mi hanno salvato, che mi hanno dato la vita per la seconda volta». In Italia Aidan sogna di costruirsi un futuro. «Certo, il mio Paese mi manca, ma là non vedo prospettive per me – dice –. Anche in Italia non è facile, ma immagino di partire da qui per costruire il mio futuro».

Aidan ha due grandi passioni: il turismo e la psicologia. Sta facendo qualche lavoretto per guadagnare un po’ e iscriversi a una scuola alberghiera. E per tenersi in forma va tutti i giorni in palestra. «Se riuscirò ad avere abbastanza fiducia nelle mie capacità alla fine arriverò alla psicologia. Mi dicono tutti che è difficile, ma non mi piace troppo dar retta agli altri: se voglio fare una cosa, anche se è difficile, penso che alla fine riuscirò a farla». Intanto Aidan si impegna «a essere una brava persona, anche per onorare la seconda vita che ho la possibilità di vivere».

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