Il Tribunale di Pescara
Si sono ritrovati con meno di quattro euro sul conto corrente, marito e moglie, vittime di una truffa che mai avrebbero immaginato di poter subire. Ora però dovranno riavere dall’istituto bancario del Pescarese i soldi che qualcuno, dopo aver carpito le loro credenziali, ha portato via: si tratta di 5.151 euro oltre a interessi legali.
Lo ha stabilito il giudice del Tribunale di Pescara, Patrizia Franceschelli, con una sentenza che diventa una sorta di pietra miliare dal momento che stabilisce la responsabilità contrattuale della società per le operazioni eseguite in assenza di autorizzazione da parte degli attori ovvero i titolari del conto corrente. Questi ultimi, subita la truffa, si sono rivolti all’avvocato Massimo Di Rocco che ha redatto e argomentato la citazione in giudizio.
Tutto nasce da un sms, proveniente dal sito dell’istituto bancario che invita la donna (cointestataria del conto con il marito) ad inserire i dati personali che le erano stati richiesti dal momento che il sistema aveva sospeso la sua utenza per mancato aggiornamento. La donna procede perché si fida,dal momento che l’sms proviene dallo stesso mittente dal quale pochi giorni prima aveva ricevuto due distinti codici da comunicare all’addetto di uno sportello per poter concludere alcune operazioni. In realtà accade anche che nell’effettuare l’accesso al link che le era stato indicato, la donna riscontra alcune anomalie che non le permettono di completare l’aggiornamento. Ma viene subito contattata telefonicamente da un uomo che, presentatosi come operatore del servizio sicurezza web dell’istituto, ha il compito di coadiuvarla nell’inserimento dei dati.
A quella seguono altre telefonate, dallo stesso interlocutore e altri sms che consentono alla donna di procedere all’aggiornamento dopo aver fornito a voce dati e indicazioni personali. La truffa, il classico caso di phishing, viene alla luce quando il marito va allo sportello per effettuare un prelievo e scopre che il conto corrente è prosciugato. Alla coppia non resta che denunciare tutto ai carabinieri. Il Tribunale ha condannato l’istituto bancario a corrispondere a moglie e marito 5.151 euro e anche a rifondere loro le spese di giudizio. Per il giudice la banca, nel caso di operazioni effettuate con strumenti elettronici come l’home banking, è tenuta a risarcire il danno patito dal correntista vittima di phishing, salvo che dimostri che il fatto sia attribuibile a dolo o colpa grave del cliente o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.
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