Strage del Sinnai, Beniamino Zuncheddu assolto dopo 33 anni di carcere | "E' la fine di un incubo"

beniamino zuncheddu

Accolte le richieste del Pg La Corte d’Appello ha, quindi, accolto le richieste del procuratore generale, Francesco Piantoni, che nel corso della requisitoria ha ricostruito trent’anni di vicenda giudiziaria ponendo al centro del suo discorso la credibilità di Luigi Pinna, oggi 62 anni e unico superstite della strage in cui furono uccisi a colpi di fucile, all’interno di un ovile, Gesuino Fadda, 56 anni, il figlio Giuseppe, di 24 anni e Ignazio Pusceddu, 55enne, che lavorava alle dipendenze dei due.

 

“Menzogne durate 30 anni” “In questa vicenda ci sono menzogne durate 30 anni”, ha detto il rappresentate dell’accusa. Il riferimento è al supertestimone Pinna che nel febbraio di quell’anno indicò Zuncheddu, che era stato fermato dalle forze dell’ordine ma dichiaratosi da subito innocente, come il killer del Sinnai. Un’accusa arrivata dopo che nell’immediatezza dei fatti lo stesso Pinna aveva sostenuto di non potere riconoscere l’autore degli omicidi perché aveva il viso travisato da una calza. Nel corso del processo di revisione è arrivato il colpo di scena. In una drammatica testimonianza, Pinna ha affermato che nel febbraio di 33 anni fa, prima “di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui. È andata cosi’: ho sbagliato a dare ascolto alla persona sbagliata”.

 

Il presunto movente Nella requisitoria, riferendosi a Pinna, il procuratore generale non ha usato mezzi termini. “L’attendibilità di Pinna ha rappresentato il fulcro per la condanna al carcere a vita per Zuncheddu – ha detto -, ma lui Beniamino non lo ha visto adeguatamente e ha mentito per 30 anni”. Il Pg ha fatto poi riferimenti all’eventuale movente e all’alibi dell’imputato tornando anche all’attività di indagine svolta dopo il massacro. All’epoca gli inquirenti puntarono dal primo momento su dissidi tra gli allevatori della zona e in particolare tra la famiglia Fadda e quella degli Zuncheddu, famiglia di Burcei, che gestivano un altro ovile. La polizia imboccò questa pista alla luce di alcuni episodi che si erano verificati prima della strage e in particolare l’uccisione di alcuni capi di bestiame e cani nonché le liti da ciò scaturite tra gli allevatori.

 

La strage si consumò in pochi minuti Il killer arrivò a Cuile is Coccus a Sinnai a bordo di uno scooter e uccise prima Gesuino Fassa, che si trovava nella strada di accesso all’ovile, per poi risalire in direzione del recinto di bestiame per fare fuoco in direzione del figlio Giuseppe. Pusceddu fu invece ucciso mentre si trovava all’interno di una baracca assieme a Pinna. All’epoca Zuncheddu aveva 27 anni, venne fermato dopo pochi giorni e iniziò per lui un calvario giudiziario la cui parola fine è arrivata dopo 33 anni.

 

Trogu (avv. difensore): “Zuncheddu non meritava ciò che ha subito” “Beniamino è una persona incredibile che non meritava quello che ha subito”. Lo ha dichiarato l’avvocato Mauro Trogu difensore di Zuncheddu. “Abbiamo studiato tanto con i consulenti che mi hanno supportato, ci siamo convinti nell’intimo dell’innocenza di Beniamino: le carte parlavano di prove a carico assolutamente contraddittorie – ha aggiunto il difensore – le indagini difensive hanno dimostrato la falsità di quelle prove a carico e rimanevano solo quelle a discarico. E poi perché abbiamo conosciuto Beniamino. Io auguro a chi abbia anche solo un minimo dubbio di berci un caffè insieme e questo dubbio verrà cancellato”.

E’ stato assolto ed è libero Beniamino Zuncheddu, l’uomo in carcere da 33 anni per la strage del Sinnai (Cagliari) dell’8 gennaio 1991 dove vennero uccisi tre pastori. Lo hanno deciso i giudici della Corte d’Appello di Roma al termine del processo di revisione. L’ex allevatore sardo, che stava scontando una pena all’ergastolo, è stato assolto con la formula piena per non aver commesso il fatto, come richiesto nella requisitoria dal Procuratore generale Francesco Piantoni. “È la fine di un incubo”, ha detto tra le lacrime Zuncheddu dopo la sentenza, accolta in aula da un lungo applauso.

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