Illy-Kartell: 400 capsule di caffè per una sedia (e una console) firmate Starck

illy-kartell: 400 capsule di caffè per una sedia (e una console) firmate starck

Illy-Kartell: 400 capsule di caffè per una sedia (e una console) firmate Starck

Una sedia nel 2022, una poltrona nel 2023, una console nel 2024. Una capsula di caffè Illy, vuota s’intende, diventa un mobile Kartell. «Non è una collaborazione spot», dicono all’unisono Lorenza Luti, direttore marketing di Kartell e Cristina Scocchia, amministratore delegato di Illy. «Stiamo ragionando per estendere e rafforzare la collaborazione e renderla stabile».

L’idea è nata, ça va sans dire, davanti a una tazzina di caffè. Dirimpettai Andrea Illy e Claudio Luti, gli azionisti di due aziende simbolo del made in Italy. «Volevano fare qualcosa», dicono ancora concordi Lorenza Luti e Cristina Scocchia, «che avesse le caratteristiche fondanti delle nostre imprese: qualità, innovazione, sostenibilità». Così è nata l’idea di utilizzare gli scarti di lavorazione delle capsule del caffè Illy per creare oggetti di design Kartell. «Dal 2018», dice Lorenza Luti, «non pensiamo più prodotti che non siano fatti con materiali e processi sostenibili. Utilizziamo il 100% di plastiche riciclate e stiamo sperimentando molto sulle bioplastiche». «La nostra filosofia aziendale», dice Cristina Scocchia, «è guidata dalla sostenibilità e dalla tracciabilità del prodotto. Acquistiamo materia prima da nove Paesi di aree difficili del mondo, ma tutto il nostro caffè viene da agricoltura circolare rigenerativa. Con Kartell abbiamo un assetto valoriale comune e su quello abbiamo fatto leva per la nostra collaborazione».

Si parte dalla capsula. «A Trieste, nel nostro unico stabilimento, in cui facciamo tutto, dalla pulizia della materia prima fino al packaging del prodotto», dice Scocchia, «vengono selezionate le capsule. Gli scarti, le capsule non utilizzate, vengono impacchettati e inviati a Kartell. Facciamo carichi da centro tonnellate». «La lavorazione dei prodotti Illy-Kartell», racconta Lorenza Luti, «la facciamo nello stabilimento di Varese. Il primo passaggio del processo è la selezione delle capsule. Scartiamo, a mano, quelle di minore qualità». Poi le capsule vengono separate per colore e inserite nella macchina che le tritura e le rende materia prima seconda pronta per essere utilizzata. La nuova plastica viene iniettata negli stampi e processata. Il nuovo oggetto di design verrà poi verniciato e finito. Per una sedia, o una console, la quantità è molto simile, servono 400 capsule di caffè. «Abbiamo perfezionato il processo nel tempo», spiega Lorenza Luti. «Abbiamo imparato che separare le capsule per colore ci avrebbe dato un vantaggio in fase di verniciatura e finitura. Ma soprattutto abbiamo compreso che la fase di progetto ci può aiutare a utilizzare meno materia prima».

Così dalla sedia Re-Chair di Antonio Citterio del 2022, alla poltrona Elegance e alla AI Console di Philippe Starck, rispettivamente del 2023 e del 2024, c’è stato un lavorìo per sottrazione. «L’uso dell’intelligenza artificiale, nella fase di progetto e di prototipazione», spiega Lorenza Luti, «ci ha consentito di dimezzare, da due a un anno, i tempi di industrializzazione di una sedia. Starck ha fatto tanta limatura nel disegno e ha lavorato molto nel rendere più robusta la struttura. L’intelligenza artificiale ci ha dato anche più certezza sui flussi di lavorazione». Meno tempo, meno materia prima, più sostenibilità. Paradossalmente, più migliora il processo di lavorazione di Kartell meno capsule di Illy saranno necessarie. «È vero», sorride Lorenza Luti, «ma non è affatto un problema. Ad avercene ne utilizzeremmo molte di più. Abbiamo dovuto fare i tre oggetti della collezione con Illy in edizione limitata perché ci sono poche capsule».

L’idea di utilizzare le capsule già usate per fare il caffè (e non solo quelle di scarto, vuote) è in campo. C’è la disponibilità di Illy e di Kartell. «La pulizia aumenterà i costi», dice Lorenza Luti, «ma non dobbiamo spaventarci. Adesso le plastiche riciclate costano tra il 10 e il 20% in più di quelle vergini, ma è una strada che percorriamo con convinzione. Poi c’è tutto il capitolo delle bioplastiche. Le usiamo già per i piccoli oggetti perché sui grandi ci sono problemi di struttura. Stiamo lavorando molto per risolverli. Poi le utilizzeremo su larga scala, anche per gli oggetti grandi. Indietro non si torna».

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