Houthi, Usa e Gran Bretagna valutano «operazioni più aggressive» dopo un sesto attacco
Gli Usa, insieme alla Gran Bretagna, valutano nuove opzioni per contenere la minaccia Houthi: tra le ipotesi considerate vi sono operazioni più aggressive sulle forniture via mare iraniane. Uno scenario fatto trapelare sulle “pagine” di Bloomberg in concomitanza con il sesto strike su posizioni della milizia.
Washington vuole evitare un conflitto aperto ed è convinto che anche Teheran sia su questa posizione. Il Pentagono ritiene però che sia possibile incidere sulla filiera degli armamenti strettamente dipendente dalla Repubblica islamica.
L’Iran ha alimentato e continua a farlo l’arsenale degli sciiti yemeniti, un “lavoro” che ricade su una flottiglia di piccoli cargo – di solito i tradizionali dhow – che raggiungono il porto di Hodeida. Uno di questi “battelli” è stato intercettato una decina di giorni fa: a bordo aveva componenti missilistiche. Il piano potrebbe essere quello di accentuare i controlli (in atto da anni in modo più sporadico) e condurre azioni che neutralizzano i carichi.
Il modello ricalca quello condotto da Israele nei confronti degli Hezbollah in Siria, con centinaia di blitz che hanno incenerito i target ma hanno solo rallentato il flusso. Tutte le formazioni sono riuscite ad armarsi ogni mese di più. Un secondo elemento della strategia è già in corso. Gli americani puntano alla prevenzione distruggendo i missili anti-nave degli Houti poco prima del lancio: è quanto avvenuto venerdì con l’intervento dei caccia della portaerei Eisenhower.
È una missione che richiede un pattugliamento continuo su una zona estesa, con un incrocio di intelligence – anche satellitare – e ricognizione. I combattenti alleati di Teheran sono, però, addestrati. All’inizio della crisi hanno abbattuto un drone Reaper, contano su sistemi mobili, dispongono di numerosi ordigni balistici e cruise. Gli esperti non hanno certezze sulle scorte a disposizione, tuttavia è presumibile che il movimento si sia preparato ottenendo dall’Iran un numero abbondante di “vettori”.
Il modus operandi degli ayatollah con altre fazioni amiche ha seguito linee costanti: la prima, con l’invio del materiale; la seconda, con l’assistenza per realizzare in loco gli armamenti; la terza, la dotazione di kit per rendere più precisi i razzi e di tecnologia per appoggiare le incursioni; la quarta, il dispiegamento di consiglieri.
Indiscrezioni sui media sostengono che un ruolo importante sarebbe svolto un nucleo di pasdaran agli ordini del generale Abdul Reza Shahlai che dirige dal suo comando a Teheran ed ha creato una base a Sanaa nella quale sono presenti anche degli Hezbollah libanesi. Negli ultimi mesi elementi yemeniti hanno seguito corsi in un sito dell’Iran centrale, training – ha scritto la Reuters – dedicato all’impiego di missili, all’assemblaggio, agli aspetti tecnologici. Dettagli evidenti, dicono le fonti dell’agenzia, dell’ampliamento dell’asse, a livello politico e bellico. Una ripetizione di quello che gli ayatollah hanno costruito in Siria, sempre insieme all’Hezbollah. L’intensificazione delle attività da parte di Washington offre spunti ai conoscitori della regione. Una parte esprime scetticismo, i raid, anche se tolgono di mezzo lanciatori e radar, hanno un impatto limitato. E suggeriscono che la risposta migliore sarebbe aiutare i governativi yemeniti a riprendere il controllo della fascia costiera.
Altri ribadiscono che l’inasprimento del conflitto farebbe solo l’interesse della milizia, ormai affermatasi con la stella dell’Asse della resistenza. Altri ancora contestano il “mito dell’invincibilità Houti” e osservano che il movimento ha sfruttato a suo vantaggio le risposte timide nelle crisi passate. Per il momento, però, sono loro a decidere chi può passare indenne o meno in Mar Rosso.
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