Se non ci fosse un reale , i meme che girano nelle chat farebbero anche ridere. Ce n’è uno molto virale in cui si vedono i pasdaran mentre — leggiadri come ballerini — fanno una spaccata sui droni che si dirigono verso Israele. L’ironia, la comicità sono tratti molto comuni del popolo iraniano, «sono antidoti al terrore», dice al Corriere Leyla, una giornalista di un importante quotidiano di Teheran. Ieri, per tutto il giorno, la tv di Stato ha ripetuto a reti unificate «abbiamo sconfitto Israele»: «Peccato che mandassero in onda immagini visibilmente false, di altri conflitti», continua Leyla. Il figlio di Samira, maestra d’asilo della capitale, questa mattina si è svegliato e ha chiesto alla madre: «Siamo in guerra?». «No, gli ho risposto. Ma da ieri mi tremano le mani. Alcuni genitori hanno deciso di non portare i bambini a scuola. Noi abbiamo fatto scorte di cibo e di benzina. Non si capisce cosa succederà».
Gli unici a festeggiare la pioggia di droni e missili sullo stato ebraico sono i pochi, pochissimi, sostenitori del regime. Li abbiamo visti esultare in parlamento e in qualche video che mostra una decina di persone ululanti e dei fuochi d’artificio. «Ammetto di aver provato un po’ di imbarazzo per il regime», dice al CorriereArash Azizi, giornalista del The Atlantic e scrittore iraniano che vive in America. «Per la dittatura dovrebbe essere “storico”: in piazza non c’era praticamente nessuno, sulla tomba di Zahedi — il generale ucciso a Damasco — una decina di persone, e su quella di Soleimani idem», continua Azizi.
Subito dopo l’attacco, i sindacati dei lavoratori hanno scritto un comunicato molto chiaro: «Con questo bombardamento, la Repubblica islamica ha iniziato una guerra che farà male a 90 milioni di persone, questo regime sta per compiere la sua ultima missione per distruggere una volta per tutte l’Iran».
Mentre il popolo non riesce a pagare gli affitti e a fare la spesa, ieri la valuta iraniana, il rial, ha toccato il minimo storico. «Anche chi ha pensato che, forse, con un intervento esterno ci potremmo liberare del regime, sono certo che in questo momento la pensa diversamente. Nessuno vuole una guerra contro Israele: vogliamo pace e libertà. I mie parenti piangono, hanno paura», dice Azizi.
Samira spiega che nei prossimi giorni vorrebbe andare a Nord e lasciare la capitale per qualche settimana. Chiede un favore: «Se ci succede qualcosa, scrivete che abbiamo combattuto per la libertà, dite al mondo di non credere e non scendere mai a compromessi con le ideologie e i regimi».
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