Soltanto 13 anni fa, nel 2011, Giuseppe Rossi era uno dei talenti italiani più forti in circolazione. Seguito da allenatori come Antonio Conte o Pep Guardiola. Una strada spianata verso grandi successi, ma gli infortuni ne hanno frenato l’esplosione. Oggi l’ex fantasista è tornato a vivere negli Stati Uniti, paese nel quale è nato, e in un’intervista rilasciata a «Fanpage.it» ha ripercorso la sua carriera. Partendo dalla sua esperienza, da giovanissimo, al Manchester United di Sir Alex Ferguson: «Lui è un dio del calcio, un mito. Io ero tanto tifoso dei Red Devils perché amavo Dwight York e Andy Cole, i migliori attaccanti a livello di coppia nella storia del calcio. Per lui i suoi giocatori erano come figli. Era sempre lì a parlarci, anche di altro. Io pensavo che il rapporto tra allenatore e giocatore fosse solo sportivo, però lui mi ha insegnato che può andare oltre. Mi sono trovato benissimo. L’ho sentito tre o quattro anni fa per vedere se ci fosse la possibilità di allenarmi con il Manchester United, con Solskjaer. È stato possibile, grazie a lui. Ferguson per me è un grande, il numero uno in assoluto. Cristiano Ronaldo? Non c’era solamente lui, ma anche Wayne Rooney ad esempio. Avevano due o tre anni più di me, quindi erano già in prima squadra. È stato bello vedere dei giovani che sono riusciti a imporsi subito, ha dato più convinzione a noi ragazzi».
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Giuseppe Rossi ha sfiorato il Barcellona ai tempi di Guardiola. Dopo aver conosciuto CR7, avrebbe potuto giocare con Lionel Messi: «Sì, ci sono andato molto vicino. Avevo fatto una grandissima annata al Villarreal, con 35 gol segnati quell’anno. Guardiola mi voleva per formare il tridente con Messi e David Villa. Il contratto con il Barcellona era già pronto, poi non sono riusciti a trovare l’accordo. I blaugrana puntavano a mettere più bonus, mentre il Villarreal voleva più fisso, dai 28 ai 30 milioni di euro. Mi ricordo bene, è stato un peccato perché sarebbe stato stupendo giocare con i più grandi: con Messi, con Guardiola come allenatore. Magari avrei vinto qualche titolo in più». Ma anche la Juventus lo ha cercato: «Esatto. Il mese dopo mi hanno chiamato dalla Juve. Ho fatto anche una chiacchierata con Conte. Dopo Del Piero volevano che ci fossi io, era un’offerta che non potevo rifiutare. Sono andato dal Villarreal con la proposta dei bianconeri: a livello economico era molto più alta rispetto a quello che prendevo ed erano disposti a pagare 30 milioni di euro, 28 più due di bonus. Era tutto fatto, solamente che durante quel mese era già stato ceduto Santi Cazorla, un pezzo fondamentale della nostra squadra, e non volevano vendere tutti i migliori. Eravamo in Champions e quindi si puntava a fare bene lì. Mi hanno detto che non potevano lasciarmi andare, quindi mi hanno chiuso in una stanza e abbiamo cercato di fare un contratto che mi soddisfacesse. E sono rimasto lì».
Per Pepito Rossi, però, il peggio doveva ancora arrivare. Con gli infortuni che hanno martoriato fisico e mente: «Sono stati momenti duri, molto duri. Anche momenti di solitudine: mi sentivo solo perché il calcio è un mondo strano, che vedo un po’ finto, perché quando le cose vanno bene ti stanno tutti attorno. Poi quando hai qualche infortunio, come i miei, non ti guardano in faccia. È un peccato, perché ho sempre pensato che il calcio fuori dal campo fosse un posto onesto. Però, purtroppo quando si diventa grandi si impara di più sul mondo in cui vivi. Dovevo trovare le persone giuste attorno a me, ossia la mia famiglia. Sono stato fortunato ad avere loro perché non volevo mai mollare il sogno che avevo da piccolo. Un sogno non soltanto mio, ma anche di papà, di mia sorella, di mia mamma. Se ho qualche rimpianto? No. Perché sono sempre riuscito a tornare con lo stesso entusiasmo, sempre più forte, con voglia di lottare e di godermi il calcio. Quello in campo, il più possibile».
Infine, sul futuro e un possibile ritorno nel mondo del calcio, Rossi ha concluso: «Mai dire mai. A livello di allenatore la vedo difficile perché sono tante, tante ore in campo, c’è troppo stress. Da calciatore ho avuto un percorso un po’ diverso da quello normale, con tanti episodi negativi che riguardavano gli infortuni e che mi hanno portato tanto stress addosso. Quindi non voglio rivivere quei momenti. Preferisco godermelo in campo con i ragazzini. Poi, magari se c’è un ruolo a livello di direttore o quello che sia, anche a livello di proprietà, vedremo. Cosa faccio oggi? Il papà».
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