Luca de Meo – “L’Europa non può cancellare il 2035, abbiamo già investito decine di miliardi”

luca de meo – “l’europa non può cancellare il 2035, abbiamo già investito decine di miliardi”

Luca de Meo – “L’Europa non può cancellare il 2035, abbiamo già investito decine di miliardi”

Mancano pochi mesi alle prossime elezioni europee e il possibile cambio di maggioranza in Parlamento sta rafforzando l’ipotesi di una profonda revisione dello stop alla vendita di auto a benzina e diesel nel 2035, se non una sua cancellazione. Uno scenario che è però sgradito al settore automobilistico continentale, soprattutto per gli investimenti miliardari che sono stati già fatti per rispettare i diktat della politica. Sul tema è tornato a parlare il presidente dell’Acea e ad della Renault, Luca de Meo, che ha colto l’occasione di un incontro con la stampa italiana al Salone di Ginevra per chiedere ancora una volta di non tornare indietro lungo un percorso ormai intrapreso, ribadendo così la posizione espressa a settembre al nostro direttore, Gian Luca Pellegrini.

Cosa potrebbe succedere con le nuove elezioni?

Io non faccio previsioni politiche e non sono un esperto. Quello che dico è che ci potrebbe essere ancora maggiore frammentazione e un ritorno al passato che è altrettanto pericoloso. Tre anni fa ci dicevano che se non avessimo fatto macchine 100% elettriche saremmo diventati degli zombie e adesso tutti quanti si chiedono se l’elettrico funzioni davvero. Quale società che ha rifiutato il progresso ne ha tratto beneficio? Nessuna. Quindi non dobbiamo rifiutare il progresso, perché noi nel frattempo abbiamo investito decine di miliardi e non vogliamo tornare indietro. Siamo d’accordo: probabilmente l’elettrico non sarà il 100% nel 2035, sarà l’80, il 70, il 60, quello che deve essere come in Cina e via così, ma sarà una tecnologia dominante.

Quindi non si può più fare dietrofront.

L’unico rischio è quello, tornare completamente indietro, negare, fare un po’ i luddisti. Ve lo dico sinceramente, sapete che non sono un estremista: sarebbe un grandissimo errore per l’Europa. Perché ci ritroveremmo soli. Guarda quello che magari succederà in Stati Uniti: chiuderanno per non far entrare nessuno. All’università di Economia, alla seconda lezione ti dicono che il protezionismo porta inflazione, inefficienze, scarsa produttività, costi che salgono e ritardi. Mai fare questa scelta.

In Europa c’è la volontà di dotarsi di una politica industriale per l’auto che non punti soltanto a dettare delle regole?

Sono stato il primo a dirlo: quello che ci manca è una vera politica industriale. E un conto è fare una strategia industriale, un altro è impilare delle regolamentazioni una sopra l’altra, dove alla fine ci danno delle date, delle scadenze, delle multe. Questa non è strategia. Una strategia è avere delle idee e condividerle. Poi farsi le domanda su come applicarle, su chi ha le responsabilità, su quali sono le risorse. Le istituzioni, invece, dicono che nel 2035 non ci saranno più motori a combustione: in caso contrario, ti facciamo la multa. Intanto, uno (Frans Timmermans, ndr) è andato a fare il capo dell’opposizione in Olanda. Ma vi sembra una cosa seria? A me no. Noi stiamo spingendo per avere un programma su dieci punti in cui diciamo la cosa di cui abbiamo bisogno. Intanto, abbiamo bisogno che rispettino il principio di neutralità tecnologica: ci devono dire dove vogliono che arriviamo. Non sta a noi dire che non vogliamo la decarbonizzazione. Se l’autorità pubblica ci dice che dobbiamo azzerare le emissioni, noi lo facciamo, ma almeno non ci dicano come farlo, lasciate la questione agli ingegneri e ai tecnici, saranno loro a trovare la soluzione. In secondo luogo, la questione è un gioco di squadra: transizione ecologica, rivoluzione digitale… tagliano industria e funzioni orizzontalmente. Il politico può mettere la gente intorno al tavolo e prendere me, Tavares, il capo di Total, il capo dell’autostrada e dirci di accordarci su come raggiungere l’obiettivo: quindi, se c’è una cosa che non costa niente e che i politici dovrebbero fare è mettere tutti gli attori intorno al tavolo e spingerli a trovare una soluzione. Terza cosa: noi paghiamo l’energia tre volte gli americani e due volte i cinesi. Se tu non hai energia competitiva, sei morto. Quarta cosa: servono degli standard, ossia un quadro in cui stare dentro e condividere tutto. Noi sappiamo quello che ci potrebbe aiutare e non stiamo chiedendo solamente sovvenzioni. Gli incentivi possono aiutare nel breve periodo, ma a lungo termine non puoi campare di sovvenzioni.

In questi giorni sono tornate in auge le voci sui consolidamenti.

Sono trent’anni che si parla sempre delle stesse cose. Marchionne diceva che in futuro non sarebbero rimasti più di cinque o sei grandi gruppi. Poi hanno iniziato a sostenere che servono almeno sei milioni di macchine; quindi, i sei milioni sono diventati otto. La Volkswagen ha rilanciato con 10, Ghosn è arrivato a 15. sempre la stessa storia. Eppure, oggi ci sono più costruttori, molti di più, di quelli che c’erano vent’anni fa. Sono ragionamenti che vengono dal mondo della finanza, per cui più sei grosso e più sei potente: è chiaro che nella nostra industria, che è capital intensive, la taglia è una condizione necessaria, ma nel mondo in cui viviamo questo concetto forse non è più sufficiente, perché si ha una grande volatilità della domanda e delle tecnologie. Il tema della taglia, delle sinergie funziona quando la domanda è stabile o crescente e le tecnologie sono molto mature: ma noi, oggi, siamo in una situazione in cui non sappiamo quale sarà la chimica delle batterie tra cinque anni; non sappiamo se Nvidia inventerà un nuovo semiconduttore di 2 nanometri e mezzo; non sappiamo tanto altro. Quindi, abbiamo bisogno di essere agili e molto orientati all’innovazione. Come Renault, la storia della taglia non me la posso giocare perché ho due milioni e mezzo di macchine, sono un costruttore medio. Allora cosa faccio? Concentro l’azienda sull’agilità, sulla velocità di esecuzione, sull’innovazione. Il risultato sono vetture come la Renault 5, che vanno benissimo per i clienti. Non mi concentro sulle sinergie. Noi non vendiamo margini operativi, noi vendiamo auto, tecnologia. Questo è quello che facciamo. E io penso che siamo capaci e lo stiamo dimostrando: non abbiamo mai fatto così tanti soldi. Sei mesi fa ci dicevano che la Renault senza la Nissan sarebbe morta. Invece, appena abbiamo cambiato lo schema di gioco, abbiamo registrato il miglior risultato in 125 anni dell’azienda. So che ci vuole la taglia, ma penso che sia molto più importante fare beni innovativi e validi per il cliente. Quando fai qualcosa che è buono per il cliente, tanti errori non ne fai. Quindi questa storia del consolidamento come la panacea di tutti i mali non mi convince. Io sono stato in Volkswagen quando guadagnavamo un milione di auto all’anno, ogni anno aggiungevamo un milione, fin quando l’aereo è andato contro il muro, perché non si riusciva più a controllare il sistema, perché l’affare era troppo grande. Ci possono essere più strade per arrivare alla cima della montagna. L’importante è arrivare in cima.

Si è parlato dell’ipotesi di nozze con Stellantis.

Non voglio fare commenti. L’hanno smentita loro. Andate a chiedere a Tavares.

E le indiscrezioni sulle piattaforme condivise con la Volkswagen?

Per la Twingo stiamo facendo una piattaforma che ci permetta di vendere in maniera profittevole un’elettrica di nuova generazione a meno di 20 mila euro. Una buona parte di questa cosa qua è nella piattaforma della Renault 5, l’Ampere Small. Quindi prendiamo questo pianale, lo accorciamo, cambiamo batteria, motori, elettronica di potenza e possiamo ridurre del 40-50% il costo da qui al 2026. Stiamo cercando di sviluppare questa architettura in due anni, il che sarebbe un record. Magari, per tornare a fare delle vetture piccole che la gente può comprare in Europa vale la pena di allearci per condividere costi di investimento o utilizzo di capacità produttive. Siamo molto aperti alle collaborazioni e stiamo parlando con tutti, in mano abbiamo qualcosa di abbastanza unico: chi vuole la piattaforma si accomodi, può subentrare come già avvenuto in passato tra Toyota e PSA per la Aygo e la 107, oppure tra Fiat e Ford per 500 e Ka. il momento di rifarlo, perché altrimenti non riusciamo a permettere vetture piccole che si vendono. In Europa, le regolamentazioni degli ultimi anni non hanno fatto altro che spingere in alto il mix dei prodotti: chi ci ha guadagnato? Fondamentalmente, i costruttori premium. Poi hanno messo tutti i soldi della Comunità Europea sulle fabbriche dell’est e i tedeschi sono andati là, a produrre con pochi costi per vendere a prezzi alti. E quindi bingo, si è svuotata l’Italia, si è svuotata la Spagna, si è svuotato il Portogallo, si è svuotata la Francia. Questo è quello che è successo. Quindi noi dobbiamo tornare a avere un mix equilibrato tra macchine premium e macchine che la gente può comprare. E oggi non c’è niente che funzioni a parte la Dacia.

Quindi cercherete un partner per costruire la Twingo?

La Twingo la sviluppiamo e la produciamo noi. Poi se qualcuno vuole prendere e localizzare la piattaforma in una sua fabbrica, ne possiamo parlare.

Quali sono i piani per Ampere dopo il ritiro della quotazione?

Innanzitutto, Ampere è un progetto industriale, non finanziario. Due anni e mezzo fa avevamo evocato l’idea di una quotazione in Borsa. Sono cambiate due situazioni, due dimensioni fondamentali. La prima è che l’appetito dei mercati finanziari per queste iniziative oggi è assente, perché sono stati bruciati soldi in un sacco di progetti che non valevano niente e questo non è il caso di Ampere. Le valutazioni di oggi sono molto inferiori al valore che noi diamo a questo asset: potevamo ottenerne uno buono, ma magari avremmo deluso anche gli azionisti, perché l’umore è molto negativo. Anche delle aziende importanti, tipo Tesla o BYD, prendono in borsa una direzione che non valorizza ciò che fanno. L’altra cosa fondamentale è che noi, quando abbiamo pensato al progetto Ampere due anni e mezzo fa, non avevamo soldi. E invece, negli ultimi tre anni di soldi ne abbiamo fatti. Normalmente, queste operazioni le fai per coprire il cash che tu bruci in una fase di startup: gli altri hanno impiegato sei, sette, dieci anni prima di arrivare al pareggio. Noi lo faremo in un anno, un anno e mezzo. Con i soli guadagni di quest’anno il progetto Ampere ce lo paghiamo tre volte, quindi non ne abbiamo bisogno di diluire questo asset, di distribuirlo tra azionisti oltre a quelli del gruppo Renault. Per queste due ragioni abbiamo deciso di ritirare la quotazione, ma ricordatevi che è un progetto industriale importante: ci sono due fabbriche a cui diamo un futuro; due gigafactory che portiamo in nord della Francia; una completa riconversione di Cléon che faceva i motori a combustione e ora diventa la più grande piattaforma di produzione di motori elettrici in Europa; tutta la parte del software, 11.000 persone di cui 3.500 ingegneri; due piattaforme di proprietà dedicate, una per le piccole vetture e una per le medie; 250 fornitori localizzati in 300 km, quindi con riduzione di costi di logistica, di CO2 e via discorrendo. E poi c’è anche la parte di bilancio energetico: il polo ElectriCity sarà carbon neutral nel 2025, non nel 2037. Quindi questo è un progetto industriale. Tra investimenti nostri e quelli dei fornitori portiamo 20 miliardi di euro nel nord della Francia. Questa è la cosa importante. Poi se andiamo o no in borsa, non importa.

Sarà necessario fare una Ampere per l’intelligenza artificiale e per la digitalizzazione dell’automobile?

Non so. Probabilmente dobbiamo guardare all’esempio della Cina, quantomeno per definire degli standard ed evitare di ripetere 250 volte la stessa cosa in maniera differente. C’è bisogno di un minimo di standardizzazione e poi c’è tutto il tema regolatorio. Il mondo dell’IA americano è molto più legato al consumatore finale e alla sua difesa, mentre la Cina usa l’intelligenza artificiale per il controllo del sistema. L’Europa deve inseguire i suoi punti di forza: sviluppo del prodotto, manufacturing e logistica. Penso che da noi vedremo dei casi di intelligenza artificiale applicate ad attività di back office, che sono molto importanti. In Renault abbiamo 400 persone che si occupano di IA: la stiamo applicando sui processi industriali e stiamo cercando di andare upstream, verso i fornitori, e downstream, verso la logistica. I nostri algoritmi girano per trovare una migliore distribuzione dei componenti, gestire tutta la parte della manifattura o i problemi di qualità. Stiamo implementando otto architetture IT, tutte quante connesse, dallo sviluppo del prodotto fino alla logistica, passando per tutta la parte finanziaria e facendo una specie di gemello digitale dell’azienda. Tutto ciò porterà la Renault a essere nella Champions League della gestione dell’organizzazione. Sono 5 miliardi di investimenti su cinque anni.

L’intelligenza artificiale può incidere sensibilmente sui costi di produzione?

Sì, perché guadagni in produttività. Non è una questione solo di costi, ma anche di velocità di esecuzione, capacità di innovazione, miglioramento dei processi, qualità dei progetti. Il tema principale è guadagnare la produttività in Europa. Questo è il problema: in Europa siamo 400 milioni, lavoriamo 35-40 ore alla settimana. Davanti, abbiamo un miliardo e mezzo di cinesi, che lavorano il doppio. Quindi vuol dire che dobbiamo essere capaci di fare in un’ora quello che un cinese fa in otto: questa si chiama produttività. La grande battaglia dell’Europa è andare a cercare segmenti ad alto valore aggiunto e riuscire a raggiungere i livelli di produttività che non abbiamo mai visto o che almeno non vediamo più da tanto tempo in una delle industrie più mature. Tutti parlano di riduzione dei costi, ma io parlo di incremento della produttività, perché questa è la vera battaglia.

Come vanno i rapporti con i fornitori italiani?

  stato avviato un processo per sfruttare le competenze che ci sono in Italia all’interno della filiera. Abbiamo già raddoppiato il fatturato: parliamo di miliardi, non di noccioline.

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