Draghi: "La globalizzazione è stata utile ma anche vulnerabile"

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Qui di seguito il discorso di Mario Draghi

 

L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia. […] In questo nuovo mondo globalizzato, tuttavia, l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio. […] L’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine.

 

La globalizzazione e l’effetto contrario ottenuto Contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali – democrazia e libertà non viaggiano necessariamente insieme a beni e servizi – ma li ha anche indeboliti all’interno dei paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna. Presso l’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove mentre i governi e le aziende restavano indifferenti. […] Le persone chiedevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. E, per ottenere questi risultati, si aspettavano un uso più attivo della “pratica di governo” – assertività nelle politiche commerciali, protezionismo o redistribuzione che fosse.

 

Rivedere dove e da chi acquistiamo le merci Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. In primo luogo, la pandemia ha messo in evidenza i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori. Questa consapevolezza si è tradotta, in molte economie occidentali, in una spinta al re-shoring delle industrie strategiche […]. La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi. Ha evidenziato i pericoli di una dipendenza eccessiva, per input essenziali, da partner commerciali grandi e non affidabili che minacciano i nostri valori. Nel frattempo, è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico.

 

Prepararsi a nuovi shock economici Questa fase di profondo cambiamento nell’ordine economico globale porta con sé sfide altrettanto profonde per la politica economica. In primo luogo, cambierà la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, i principali fattori di discontinuità nella crescita sono stati rappresentati da shock di domanda, spesso sotto forma di cicli di credito. […] È probabile che, nella fase di adattamento delle nostre economie a questo nuovo contesto, si presentino shock di offerta negativi più frequenti, più irregolari e anche più ampi. […] Probabilmente questi shock di offerta emergeranno non solo da nuove frizioni nell’economia globale – ad esempio conflitti geopolitici o disastri naturali – ma ancor più dalle risposte di policy che noi stessi metteremo in atto per mitigare quelle frizioni.

 

Aumenteranno i deficit nazionali Il secondo cambiamento chiave nel panorama macroeconomico è rappresentato dal fatto che la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo, il che significa – a quanto posso aspettarmi – deficit pubblici persistentemente più alti. La politica fiscale sarà chiamata a incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare la gamma di nuove esigenze di investimento. I governi dovranno affrontare le disuguaglianze in materia di ricchezza e reddito. E, in un mondo di shock di offerta, è probabile che la politica fiscale si trovi a dover svolgere anche un maggior ruolo di stabilizzazione – un ruolo che in precedenza avevamo attribuito principalmente alla politica monetaria.

 

Terzo cambiamento: se è vero che stiamo entrando in un’era di maggiori rivalità geopolitiche e relazioni economiche internazionali più transattive, i modelli di business basati su ampi surplus commerciali potrebbero non essere più sostenibili politicamente.

 

Servono capitali a basso costo Per stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione, avremo bisogno di un cambiamento nella strategia di policy complessiva, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso sul lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, campo in cui un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere d’aiuto. Ma per fare tutto questo a una certa velocità sarà necessario un policy mix adeguato: un costo del capitale sufficientemente basso per anticipare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che supporti la riallocazione di capitale e l’innovazione, politiche della concorrenza che facilitino gli aiuti di Stato laddove siano giustificati.

 

Le richieste di coordinamento tra politiche probabilmente aumenteranno, ed è un qualcosa per cui l’architettura della nostra politica macroeconomica non è progettata. […] Tuttavia, è importante ricordare che l’indipendenza non deve significare separazione, e le diverse autorità possono unire le forze per aumentare lo spazio politico senza compromettere i rispettivi mandati. Lo abbiamo visto durante la pandemia quando le autorità monetarie, fiscali e di vigilanza bancaria hanno unito le forze per limitare i danni economici dei lockdown e prevenire una recessione deflazionistica. Allo stesso modo, nelle condizioni attuali, una strategia coerente di policy dovrebbe avere almeno due elementi.

 

In Europa serve una fiscalità comune Primo, deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e al contempo, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei. Questo darebbe alle banche centrali maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà a un’inflazione più bassa domani. In Europa, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, possiamo anche fare un ulteriore passo avanti finanziando una quota maggiore di investimenti in modo collettivo, a livello di Unione. L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali. Allo stesso tempo, poiché il modo di spendere dell’UE è più programmatico – spesso su un orizzonte pluriennale – investire a livello di Unione rappresenterebbe un più forte impegno a far sì che la politica fiscale sia in ultima analisi non inflazionistica, il che si potrebbe riflettere nelle proiezioni delle banche centrali sull’inflazione a medio termine.

 

Le prossime sfide: inflazione e recupero salari In secondo luogo, se le autorità fiscali delineassero in questo modo percorsi fiscali credibili, alle banche centrali spetterebbe il compito di assicurarsi che la bussola principale per le loro decisioni sia rappresentata dalle aspettative di inflazione. Nei prossimi anni la politica monetaria si troverà ad affrontare un ambiente difficile in cui, più che mai, dovrà distinguere tra inflazione temporanea e inflazione permanente, tra crescita di recupero dei salari e spirali self-fulfilling, tra le conseguenze inflazionistiche della spesa pubblica buona e di quella cattiva.  In questo contesto, una misurazione accurata e un focus meticoloso sulle aspettative di inflazione sono il modo migliore per garantire che le banche centrali possano contribuire a una strategia di policy complessiva senza compromettere la stabilità dei prezzi o l’indipendenza. Questa bussola consente di distinguere con precisione gli shock temporanei al rialzo dei prezzi – come ad esempio gli spostamenti dei prezzi relativi tra settori o l’aumento dei prezzi delle commodity derivanti da maggiori investimenti – dai rischi di inflazione generalizzata.

 

Difendere il pianeta dagli autocrati nostalgici Le transizioni che le nostre società stanno affrontando – siano esse dettate dalla nostra scelta di proteggere il clima, dalle minacce di autocrati nostalgici o dalla nostra indifferenza alle conseguenze sociali della globalizzazione – sono profonde. E le differenze tra gli esiti possibili non sono mai state così nette. Ma le persone conoscono nel profondo il valore della nostra democrazia e quel che essa ci ha dato negli ultimi ottant’anni. Vogliono preservarlo. Vogliono essere incluse e valorizzate al suo interno. Sta ai leader e ai responsabili delle decisioni politiche ascoltare, capire e agire insieme per progettare quello che è il nostro futuro comune.

“L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia”. Lo ha detto Mario Draghi, dopo aver ricevuto il premio Volcker alla carriera a Washington. “In questo nuovo mondo globalizzato, tuttavia, l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio”, ha sottolineato l’ex premier italiano precisando che “l’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine”.

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