Parigi continua a venderci il sogno

L’aria di un successo è palpabile, soprattutto quando è immediato. La settimana della moda parigina non è ancora a metà eppure sembra che per ora quello di Chemena Kamali da Chloé sia, a detta di molti giornalisti e buyer, il grande debutto della stagione invernale. Romantica, chic e bohémienne, la donna di Chloé è tornata con la morbidezza, la palette, il flou, le vibe anni ’70 e primi 2000. In prima fila sorridevano rilassate le rappresentanti di quelle due epoche, da una parte Georgia May Jagger accanto ad Anna Cleveland e dall’altra Sienna Miller, Alexa Chung, Clémence Poésy e, va notato, tutte indossavano lo stesso paio di sandali a fascia blu con delle zeppe altissime. Nel caso il messaggio fosse sfuggito: wedges are back. La tedesca Kamali ha raccontato a British Vogue di essere un’ossessiva collezionista di bluse, ne ha circa 600 e, salvo rare eccezioni, sono tutte in rotazione. Ha anche un debole per la moda di fine anni ’70 e per gli anni di Karl Lagerfeld da Chloé, così si spiega la genesi di uno dei capi più belli – e portabili – della passerella: quella schiumosa camicetta di pizzo abbinata a un paio di jeans scoloriti ad arte, reinterpretazione di una campagna Chloé del 1977. Altre bluse vengono infilate nelle calzamaglie, al diavolo i pantaloni; alcuni sbuffi di chiffon sbucano, incontenibili, dalle maniche delle giacche oppure, ecco il twist, escono da un paio di pantaloni al ginocchio in pelle bordeaux che ricordano gli anni più trasgressivi di quando il brand era guidato da Natacha-Ramsay Levi. I gioielli e i dettagli delle borse sono tutti dorati e ruotano attorno al tema del serpente, ma nella mischia poi si trova una borsa eccentrica, in pelliccia crema, con grosso gancio a forma di una testa di cavallo con tanto di fascia per i capelli coordinata. E poi i capispalla con mantellina, specialmente quelli in pelle, hanno ricevuto grandi approvazioni, sia di persona che nei vari social (“about to rename myself” era la battuta più ricorrente online per giustificare l’acquisto della cintura con l’enorme scritta Chloé in oro, altro dettaglio che è piaciuto a molti. Che sia l’accessorio dell’anno?).

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Parigi, la moda, illusioni concrete

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La pelle burrosa che cade alla perfezione si era vista già poco prima da Gauchere, specialmente nei pantaloni lunghi fino a nascondere le scarpe. Neri semi opachi, rossi come pomodori maturi, erano privi dell’aggressività dei biker o dei toni BDSM in cui spesso ricade il linguaggio della pelle e che di questi tempi sta guadagnando sempre più hype; per Gauchere i pantaloni oversize in pelle sono una concessione iper lussuosa per il quotidiano, da abbinare a un maglioncino a fior di pelle grigio nascosto sotto una camicia bianca tutta abbottonata, quel trucco per stare al caldo che aveva introdotto Miuccia Prada in una sfilata maschile tanti anni fa e che non ha mai abbandonato le passerelle.

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Da Rabanne i look erano incentrati sulla versatilità del vestire a strati con un tocco eccentrico, conferma (dopo Undercover il giorno prima) che la vita di tutti i giorni è, paradossalmente, un trend ricorrente. I blazer di pelle erano sovrapposti alle giacche oversize rubate al fidanzato e alle camicie button-down, e sotto s’intravedeva l’orlo del top in maglia di cristalli, da sempre caposaldo della maison insieme ai ricami di paillettes, che abbiamo già incontrato da Dior, da Tom Ford, da Ferragamo. Se da Chloé le calzamaglie erano accettabili come pantaloni, per Julien Dossena le calze di Rabanne sono delicatamente trasparenti ma tempestate di borchie o macro paillettes argento, oppure diventano un gioco circolare di illusioni ottiche quando riprendono la stessa fantasia delle gonna, invertendo i colori.

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Anche da Schiaparelli le illusioni non sono mancate. I tailleur da executive includono pantaloni con le tasche tipiche dei cargo, eppur leggere, sono tornate dalle proposte primaverili le scarpe da tennis in canvas con le dita applicate, questa volta in nero su nero, e anche qui i collant richiamano l’attenzione: neri e coprenti, da portare con scarpe open toe dal tacco dinamicamente miracoloso. Inevitabili certi omaggi al passato: è ricomparso l’abito-scheletro disegnato nel 1938 da Elsa Schiaparelli e Salvador Dalí, questa volta in pelle, insieme al cappello a forma di scarpa, riproposto in versione cascante. Le cravatte di capelli intrecciati, bionde o castane, rendono invece omaggio all’elemento surrealista dei capelli nelle opere d’arte di Pippa Garner e Mimi Parent, oltre all’iconico braccialetto di pelliccia disegnato da Meret Oppenheim per Elsa Schiaparelli.

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schiaparelli

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Il giorno 4 si è concluso con altri collant che si fanno subito notare (in velo, ma leopardati, da portare con pump laccate di rosso o stivali morbidi e borchiati) e altri sentori bohémien da Isabel Marant, complice il ritorno della collaboratrice di lunga data Emmanuelle Alt, che ha lavorato a stretto contatto con Kim Bekker, direttrice creativa del marchio dal 2021. Per chi avesse nostalgia del look da chinita – la donna gaucho argentina – in versione lussuosa, abiti comodi, frange di pelle e ampie mantelle in lana non sono mancati.

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È grazie a Loewe e Issey Miyake che si torna a parlare di location, dopo le scenografie che toglievano il fiato – o che lo aggiungevano, come nel caso di Courrèges – dei primi giorni. All’interno delle sale Art Déco del Palais de la Porte Dorée, costruito in occasione dell’Esposizione Coloniale Internazionale del 1931, gli ospiti di Issey Miyake hanno ammirato affreschi e bassorilievi di scene esotiche illuminati da luci soffuse. Una volta iniziata la sfilata, le stesse luci proiettavano ombre aspre e surreali sui look che, come vuole la tradizione del brand giapponese, mettono in scena le più recenti esplorazioni di tessuti tecnici e nuove possibilità per scolpire gli abiti. Modelli e modelle sembravano girovagare per il mondo, coperti da strati di tessuto pieghettati a mano in silhouette organiche, così ariose che quello che sembrava essere una giacca di scorta portata sotto il braccio a un secondo sguardo si è rivelato essere una grande borsa di tessuto, gentilmente informe, capace di contenere tutto il necessario e anche di più.

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Completamente verde e labirintica era la galleria d’arte immaginata per la sfilata di Loewe, dove si respirava l’aria frizzante proveniente dagli avvolgenti boschi ai bordi di Parigi, tra le antiche pietre di Chateau de Vincennes. Appesi sui muri c’erano 18 dipinti di Albert York, solitario artista americano noto per le sue opere d’arte floreali e decisamente poco conosciuto fuori dai confini degli Stati Uniti. Le rose, le margherite e i tulipani di York sono sbocciati sugli abiti ritagliati in vita, tenuti al loro posto da cinture oversize, mentre il verde ha raggiunto i pantaloni fluidi abbinati ai blazer strutturati del XVIII secolo. Jonathan Anderson continua imperterrito nel suo percorso eccentrico, ri-defindendo la normalità come più gli piace. Inverte i concetti di classe e denaro in uno spettacolo pieno di benvenute contraddizioni, trasforma l’alto in basso e viceversa con disinvoltura. Il tradizionale abito da mattina Etoniano è diventato un look con fasce svolazzanti che danzano sul pavimento e sotto una giacca dal taglio millimetrico ora si apre uno spettacolo di fluttuanti Jodhpurs che diventano pantaloni da sultano; i lapel di altre giacche sono ricoperti di applicazioni di metallo che poi si è scoperto essere legno intarsiato come le gambe delle sedie Chippendale e poi dipinto d’argento; un paio di guanti neri si appoggia alle spalle di un cappotto, come le nappine di un generale in una parata ufficiale. I dettagli divertenti, ma meno buffi rispetto al passato, sarebbero troppi da elencare, ma una cosa è certa: solo per Jonathan Anderson abbiamo intaccato il conto in banca per comprare la pochette a forma di piccione e questa volta lo rifaremo per una borsa, ricamata alla perfezione, che sembra un contenitore di porcellana che a sua volta vuole sembrare un mazzo di asparagi freschi.

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I sorrisi a fine giornata sono arrivati grazie a Vetements perché a Guram Gvasalia non manca il senso dell’umorismo e della chiara provocazione: sia nelle maglie gigantesche con citazioni pessime prese direttamente da Tumblr che nel far indossare una t-shirt con la scritta “Not mum’s favorite” ad Anwar Hadid, il meno famoso e lucrativo del team Hadid (P.S. Ex fidanzato di Dua Lipa). E c’è sempre un filo di ironia da Yohji Yamamoto, sotto tutto quel tessuto nero, nei veli retati da vedova, nei capelli di chi si è appena alzato, nelle suole squadrate e ingombranti. A 80 anni Yamamoto fuma ancora una sigaretta dopo l’altra e sogna ancora gangster e cowboy. Per rilassarsi, gioca d’azzardo. Ha raccontato al Washington Post il perché: “(…) il lavoro in sé è una scommessa. Il business del prêt-à-porter è una scommessa. Devi pagare tutto prima di mettere qualcosa nel negozio. È una grande scommessa. Quindi, naturalmente, ho iniziato ad apprezzare il gioco d’azzardo”.

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