L’orchestra di cinquanta donne: "Voglio essere chiamata direttrice. Che tristezza le battute di Bonolis"

Pesaro,  27 gennaio 2024 – Dirige un’orchestra di sole donne (50), si fa chiamare direttrice (ma non disdegna Maestra) e all’inaugurazione di Pesaro 2024 Capitale italiana della Cultura, sabato scorso davanti a Mattarella e 8mila persone, ha incantato il pubblico con le sue musiciste (una delle quali, tra l’inno di Mameli e quello alla Gioia, allattava il bimbo dietro le quinte). Francesca Perrotta, 51 anni, è involontaria protagonista di una serie di gag con Paolo Bonolis che vanno in tutt’altra direzione. “La bambina che sono stata era felice di incontrare il suo mito di Bim Bum Bam – ha scritto a freddo qualche giorno dopo –, ma la donna che sono oggi ha provato tristezza nella retorica della commedia all’italiana che lui ha portato avanti per tutto il tempo della sua conduzione. Tristezza per lui e per la bambina che ero”.

Paolo Bonolis con la direttrice d’orchestra Francesca Perrotta alla serata di inaugurazione di Pesaro 2024

Direttrice, con Bonolis sembrava essere scattato un immediato feeling, benché un po’ sopra le righe. “Signora Perrotta”, poi “signorina”, poi addirittura la percussionista “sexy”.

“Nel momento in cui si è sul paco si deve fare anche un po’ di scena, la cifra di Bonolis è questa. A me però interessava un altro messaggio: il fatto di essere lì perché avevo un ruolo. Non ero la ‘signora Perrotta’. Ero lì perché ero la direttrice”.

Ha sottolineato di voler essere chiamata “direttrice”. Sembra una contrapposizione alla sua collega Beatrice Venezi, che invece esige “direttore”.

“No, nessuna contrapposizione. Ma essere chiamata sul palco più volte ‘signora Perrotta’ era brutto e spiacevole. Non offensivo, ma denigrante. Per questo ho precisato ‘direttrice’, che potrà suonare ancora un po’ strano, come Maestra Perrotta. Ma stiamo costruendo una nuova mentalità. Per esempio adesso c’è un concorso internazionale chiamato ‘La Maestra’, rivolto solo alle donne direttrici d’orchestra”.

C’è chi dice che la parità stia altrove, non nelle parole.

“Ho studiato lingue e ho tatuato nel cervello che la lingua è nel sistema di pensiero di un popolo. Quando parliamo esprimiamo qualcosa, e la lingua cambia assieme alla società. Il ‘non detto’ non esiste, per questo è fondamentale utilizzare l’appellativo al femminile”.

E che mi dirà allora della “percussionista sexy”?

“Mi ha dato fastidio, ma non ho avuto la prontezza di rispondere. Era fuori luogo. Alla musicista ho detto che ero dispiaciuta, lei mi ha fatto un sorriso ed è finita lì. Siamo abituate a veder travalicare la sottile linea che va nel personale, in questo caso di basso livello perché sessuale: da sempre gli uomini esercitano un potere e le donne lo subiscono. Ma nessuna donna avrebbe presentato così un musicista chiamato a esibirsi davanti a 8mila persone. Non ci fa piacere né sentire speciali. Suona come una prepotenza”.

Soddisfatta dell’esibizione?

“Si può sempre fare meglio, ma sì, sono soddisfatta. La grandezza di quello che abbiamo fatto, musicalmente, è stata la risposta a tutto, anche alla piccolezza del siparietto risultato stridente alle orecchie di chiunque”.

Sa che Beatrice Venezi sarà a Fano per il Carnevale?

“Sì, andrò al suo concerto”.

È stata molto criticata da alcuni orchestrali. C’è chi l’ha definita inadeguata. Che ne pensa?

“Ho letto critiche molto aspre, ma non mi esprimo non avendola mai vista all’opera. Comunque le opinioni sono diverse, tra gli stessi orchestrali c’è chi l’ha difesa”.

Secondo lei sarebbero stati usati gli stessi toni con un uomo?

“Bella domanda. Posso solo dire che non successe niente del genere con Giovanni Allevi, quando fu chiamato a dirigere un’orchestra, e non aveva mai fatto studi di direzione. Comunque, di direttori più o meno bravi ce ne sono sia tra le donne sia tra gli uomini. Ma la donna è più attaccata, è una constatazione di costume sociale”.

Perché un’orchestra di sole donne?

“Nel 2018 io e Roberta Pandolfi abbiamo pensato fosse il momento di dare un senso a un progetto orchestrale nuovo. Ci sembrava attuale parlare da donne a donne, muovendo riflessioni sulla società e facendo al tempo stesso un buon prodotto culturale”.

Com’è stato mettere insieme cinquanta musiciste?

“La fatica più grande è stata trovare tromboniste e tubiste, rarissime in Italia. E poi ogni tanto qualcuno si deve assentare. Per esempio il primo trombone è in allattamento: per il concerto di sabato, forzando il rigidissimo protocollo, sono riuscita a ottenere che allattasse dietro le quinte. Non è stato semplice ma si può fare”.

Questione di mentalità.

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